«La complessa polifonia di ciascuna parte è incorporata in un flusso armonico-musicale nel quale le armonie non cambiano improvvisamente, ma si fondono l’una nell’altra; una combinazione distinguibile di intervalli sfuma gradualmente, e da questa nebulosità si scopre che una nuova combinazione di intervalli prende forma».
Con queste parole György Ligeti (1923-2006) descrive la sua tecnica compositiva della micropolifonia, un procedimento che prevede la sovrapposizione e la convivenza di intervalli ravvicinati di semitoni e di figurazioni ritmiche irregolari e tutte diverse (o quasi) per ciascuno strumento.
György Ligeti nacque a Târnăveni in Romania e perse la sua famiglia d’origine (tranne la madre) nel campo di concentramento di Auschwitz, quando aveva poco più di vent’anni; a Budapest, dopo la guerra, studiò con Zoltán Kodály, il pioniere dell’etnomusicologia insieme a Béla Bartók, e si occupò lui stesso di musica etnica. A Colonia entrò in contatto con Stockhausen e sperimentò l’elettronica come strumento espressivo, senza aderirvi completamente.
Tuttavia, una cifra distintiva della sua musica, è una nebulosa sonora appartenente prodotta artificialmente, in realtà ottenuta con l’orchestra sinfonica o gruppi più ridotti di strumenti, attraverso lunghe note tenute e poste ad intervalli ravvicinati, creando fondi a strati che evolvono e si sviluppano tramite micro mutamenti o interruzioni con netti cambi di scenario.
Il Kammerkonzert, composto fra il 1969-70, inizia proprio con questa sonorità, formata da ritmi irregolari che si dipanano fra flauto, clarinetto, clarinetto basso e violoncello, con brevi interventi del contrabbasso e successive entrate del corno e del trombone.
Un fluido chaos primordiale che si espande negli spazi siderali. La resa è eterea, il controllo del compositore totale.
Questo è il principio dal quale ho sviluppato la tela che vedete in alto, un composto di materia più e meno densa, spalmata con la spatola e con le mani nei toni del blu e del verde acqua, a creare quello sfondo sidereo ma stratificato delle fasce sonore di Ligeti, il tutto inciso e governato dal suo rigoroso magistero compositvo, fiammeggiante di idee (le incisioni e applicazioni in rosso).
Nell’organico del Kammerkonzert compaiono anche quattro tastiere: celesta, harmonium, pianoforte e clavicembalo, che Ligeti dispone a doppio angolo retto sul palcoscenico, al fine di dare rilevanza e disporre le quattro sonorità in modo equilibrato, cosicché l’una non copra l’altra. Il timbro nero laccato del pianoforte e le sonorità auree delle altre tre tastiere, fanno da contenimento al fluire della spazialità sonora azzurra degli strumenti a fiato e degli archi, ponendosi nell’angolo in alto a sinistra del quadro, così come sono disposti sul palcoscenico rispetto al direttore ed al pubblico.
Il connubio tra il musicista e il pittore (cioè le due anime di Mauro) risulta esplosivo. Emozionante il quadro. Incisivo e sintetico il commento. E bravo Mauro!
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